martedì 3 febbraio 2009

L'occasione della forma 1^ - L'incontro


Questa storia è solo finzione. Puro artificio letterario.


Parigi, inizio primavera 1926

In un giorno di sole, dopo che aveva smesso di piovere, capitò che fra le signore ingioiellate, i signorini in bombetta, le balie affaccendate, facesse capolino un giovane segaligno. Con la destra madida, a stringere un plico di pelle contro il bacino. Un biondino emozionato, con lo sguardo che punta dritto. Passo veloce e occhi cerulei.
Si fermò un attimo, parlottò col primo parigino che gli fosse a tiro e ne ottenne un’indicazione ad ampi gesti, come a dire: “Vai di là, gira di qua…”

Capitò che l’uomo, sulla trentina, dopo pochi passi si fermasse ancora, rimanendo qualche istante a osservare, come a scrutare, occhi a fessura, un’immagine imprecisata fra i tavolini dei bistrot.

Ottenute le indicazioni visive, si tirò giù la giacca come per meglio assestarla e quindi frenetico, ricominciò il passo.
Superò un tavolo, poi due, schivò una carampana dall’ampio cappello, dopo il sesto si fermò. Ritto come un pennacchio da milite. Uno sciagurato piccione gli aveva scaricato parte della sua semplice anima sulla spalla sinistra.
L’uomo slavato estrasse il fazzoletto e mentre si puliva con rapidi gesti intensi, rivolse il suo sguardo all’uomo seduto.

“Maestro – disse in un francese che sapeva più di spagnolo – permette una parola? Sono un suo ammiratore…”

Quel signore anziano dalla barba folta, con il naso infossato nelle sue carte, alzò lo sguardo distrattamente e quindi sospirò un “…Prego”. Più di cristiana generosità che d’interesse.

Era questi un uomo sulla sessantina, vestito elegantemente, con panciotto e lunette al naso. Corpulento quel tanto che basta a farlo dire in buona salute, con un tocco di estrosità nel suo vestito. Un fiore arancione all’occhiello, nel grigiore del sobrio gessato.
Un uomo che aveva movimenti lenti nel riporre le sue carte sul tavolo e nel portarsi alle labbra il bicchierino di cristallo fumè. Che aveva uno sguardo assorto anche quando ti guardava. Nella luce di occhi mobili e giovani. Come quelli di un bimbo.

Attese il discorso del giovane che ripose il fazzoletto, ormai colorato, nella tasca e si chinò leggermente inarcandosi. Prima di parlare:

“Arrivò dagli Stati Uniti, maestro. Ho usato quei pochi soldi che ho per questo viaggio in Europa. Credo che ognuno di noi, del nuovo mondo intendo dire, debba visitare la cara Europa almeno una volta nella vita. E così eccomi qui. Maestro, lei è mai stato in America?”

“No, mai” Replicò asciutto il vecchio elegante, senza tradire una piega di curiosità

“Certo, che stupido…Voi non avete bisogno di viaggiare. E' chi viaggia che viene da voi. Io, invece trovo che viaggiare sia bellissimo. Ho viaggiato in Italia, dal Tirreno all’Adriatico. Mi sono fermato in Polesine e poi sono ripartito. Io…”.

Il frastuono di una vettura che sfrecciò affumicando la via, spezzò il discorso dell’americano che già faticava a esprimersi in un quasi ridicolo miscuglio di spagnolo, francese e, ora, italiano.
Fu l’occasione per il Maestro.

“Lei mi scuserà, se non la faccio accomodare la mio tavolo, amico americano. Mi attende un pomeriggio molto lungo e di faccende periferiche alla mia attività…”

“Io non voglio….” Proruppe invadente, a bloccare con la voce, il gesto di alzarsi dell’anziano.

“Io non voglio rubarle tempo e infastidirla maestro. E’ solo che ho aspettato tanto, prima di poterla conoscere. Sperando che lei potesse dedicarmi qualche minuto. Sarebbe così gentile?”
“D’accordo, sarò così gentile” E fece il gesto dell’invito ad accomodarsi al suo tavolo. Poco convinto, quasi inquieto per tanta insistenza.

I tavoli dei caffè sulla rue erano affollati più che mai a quell’ora del pomeriggio. Il brusio, il vociare delle sciantose azzimmate, dei sedicenti galantuomini si alternavano ai discorsi degli artisti, allo sbattere d’ali dei piccioni, al litigare degli avventori. Nei primi giorni di primavera Parigi era questa. Una città accesa, una città bella dentro, che si rivoltava alle sue notti equivoche e si riappropriava della luce naturale, esplicitando il suo fermento.
Una città dove tutto era possibile.
Per un istante solo, lo pensò anche quell’uomo dall’aspetto insignificante, che era giunto da tanto, da così tanto lontano.