mercoledì 4 febbraio 2009

L'occasione della forma 2^ - Howard e Antoni


Un raggio di sole si divincolò dall’abbraccio di una nuvola residua, fendé la fessura fra le tende protese del bistrot e illuminò la fronte dell’americano.
“Maestro Gaudì – fece emozionato – mi chiamo Howard… Howard Phillips Lovecraft, vengo da Providence nel Rhode Island. Sono uno scrittore di romanzi. Ma mi cimento soprattutto in novelle e racconti brevi”
“In cosa posso aiutarla signor Lovecraft” interruppe il maestro, prima di portarsi il suo cicchetto di Porto alle labbra.
“Ecco, io ho pensato tante volte negli ultimi mesi a questo incontro…A cosa le avrei detto ed è difficile per me spiegarle. In fondo è cosa ben strana se ci penso ora, maestro Gaudì. Ci sono delle coincidenze. Come se il caso avesse voluto portarmi a lei.
So che lei è uno dei maestri dell’architettura moderna, la sua concezione di edificio, di linee, di forme, sta cambiando il modo di pensare gli spazi. Lei ha aperto. Ha aperto una nuova frontiera dell’architettura…Io sono un profano, non sono mai stato in grado nemmeno di reggere un pennino in modo corretto – sorrise brevemente – e questa cosa assume ancora un aspetto più strano se ci penso”

Dietro Antoni Gaudì fece capolino una coppia di signorine cinguettanti. Una di queste, quella più all’interno del marciapiede osservò un attimo Howard e notò quella vistosa macchia d’inequivocabile origine , in mostra sulla sua spalla. Risero di gusto, mentre lo oltrepassarono.

“E’ strano perché io di architettura non capisco nulla e non mi sognerei mai di disegnare… Nel senso più tecnico intendo”
“Male, magari ha un talento nascosto”
“Non credo maestro, ma vede ciò che la mano tratteggia, io credo la mente e il cuore concepisca. E allora quando scrivo, in qualche modo è come se disegnassi anch’io. Le mie mani sono nodose e incompetenti, ma la mia testa è in grado di disegnare, anche senza linee e curve e guglie. Almeno così mi piace pensare ”
“Che genere di romanzi scrive signor..Signor Howard”
“Io scrivo novelle, racconti di fantasia. Indago l’animo umano, cercando di carpirne i sogni… - sorrise imbarazzato – anche gli incubi”.
“Romanzi onirici. Occultismo”. Affermò il maestro senza tradirsi.
“Sì, anche. Direi soprattutto, maestro Gaudì”

Lo scrittore Phillips Lovecraft, l’uomo che aveva percorso l’Atlantico in terza classe per arrivare in Europa e si era indebitato per questo, stette per un istante in silenzio chinando il capo, come a vergognarsi. Come per paura di essere biasimato.

Antoni Gaudì da Barcellona, avvicinato quasi furtivamente, abbordato come si farebbe con una bastimento carico di preziosi nel mare di quella di Parigi turbolenta e creativa, si perse con lo sguardo verso la strada trafficata. Gli capitava di perdersi nei suoi pensieri, abbandonato temporaneamente dalla sua creatività; in libera uscita dai numeri, dai carichi, dalle spinte, dalle volte. Da tutti quei calcoli infinitesimale, quel tratteggiare convulso del suo studio catalano…Non era un bel segno.
Gli capitava quando sentiva imbarazzo e sentiva quel disagio che provano le persone di genio, costrette a parlare controvoglia.
Si sentì come una di quelle avvenenti cocotte. Tutti vogliono possederle almeno una volta, ma a nessuno interessa davvero del loro benessere.

L’architetto di Dio, il genio della Sagrada Familia. Sua croce. Sua delizia soprattutto. L’uomo che da anni lavorava 18 ore al giorno nel nome del Signore e che al signore stava dedicando la sua opera più importante, non riuscì a trattenere dentro di sé un moto di sdegno ben poco cristiano.
Un rifiuto ad esser lì in quel momento.
“Un ennesimo scocciatore” Si disse. E si ripetè constatandolo amaramente.

“Io ho qui una serie dei miei racconti. Con questi riesco a viverci a stento, ma è la mia vita.
Io vorrei farglieli leggere, ci terrei davvero tanto e vorrei spiegarle che alcune volte…
Sorrido perché non vorrei sembrarle borioso ma…Alcune volte si parte da lontano, da strade opposte, senza volersi incontrare, ma questo avviene. No, maestro. Non sto parlando solo della realtà. Parlo dell’immaginazione, di quei sogni che diventano reali solo per il fatto che noi ci siamo. Gli diamo un corpo, una forma, una dimensione. Non importa l’arte nella quale eccelliamo, quella è solo un mezzo.
Se lei potesse…

“Caro signor Howard, a parte la fatica che fa a parlare nella mia lingua, cosa che apprezzo, non creda. Penso anche che il momento sia inopportuno. La mia vita stessa lo è. E’ troppo breve per le cose che ho in mente io, troppo breve anche per dedicare tempo alla sua lettura. Sono certo che troverà altre vie per ispirarsi.
A un uomo del suo impeto non mancherà occasione”.

Inarcando il folto sopracciglio su quell’ironico “impeto”, si trasse dalla sedia e con un piccolo toccò sul cappello diede di saluto all’americano invadente.

Howard rimase lì, rigido e seduto. Con il suo plico di pelle marrone che aveva attraversato l’oceano e la sua macchia scura sulla giacchetta a buon prezzo.
Anton aveva detto bene: “…A un uomo del suo impeto non mancherà occasione”.
E infatti non mancò. Di lì a pochi istanti.