domenica 15 febbraio 2009

L’occasione della forma 4^ - 12 dollari


“Allora mi dica signor Howard. Cosa l’affligge?” Chiese ironico
“Le sue case, master. Io le trovo strane… Dico una stupidaggine da ignorante, lo so. Certe espressioni artistiche i competenti spiegano e interpretano, i millantatori osservano, gli ignoranti schivano. Ma il punto non è quanto io capisca di architettura e di forme e disegni. Ognuno di noi è quello che è. Con i suoi limiti anche.
Il punto è che la mia stessa ignoranza non mi spiega, anzi acuisce i miei dubbi e mi rende interdetto di fronte a lei…
“Case, quali case? Signor Howard. Quale di quelle che ho disegnato colpisce la sua attenzione?” Sospirò l’anziano, davvero non capendo
“Sì, glielo spiego maestro Gaudì. Ma non trovo altre parole che raccontarle quello che mi è successo qualche mese fa.
Ero a Providence dal barbiere. Le mie zie tengono particolarmente al mio aspetto, soprattutto quando vado a trovarle. E capita spesso ultimamente, tornando da New York.
Ero lì in attesa quel sabato mattina. C’era gente, almeno altre tre persone prima di me. Avrei voluto andarmene. Un colpo di barba me lo posso dare anche io, ma sono le mie zie…Tengono alle apparenze e il rito del barbiere per un uomo, secondo loro è come il cappellino in chiesa per una donna.
Mi siedo e afferro una delle riviste. Di solito è una cosa che non faccio mai. Sono molto attento alle mie letture. E’ stato il caso allora che mi ha messo in mano uno di quei magazine che circolano da noi: “Architect”.
E’ vero l’argomento – sorrise brevemente – non è al centro dei miei pensieri ma…Insomma comincio a sfogliarla. Le pagine centrali erano dedicate a lei Master Gaudì. “La casa di pietra dell’architetto di dio” il titolo era quello”.
Con fare un po’ impacciato trasse fuori dalla tasca interna della giacca il ritaglio di giornale con il titolo, la foto meno canuta dell’architetto e un disegno. Lo porse silenzioso.
“Ma questa è casa Milà signor Howard. E’ a Barcellona. Sì è un mio lavoro”
“Lo so. Ma ecco…”
“Non le piace”.
“Non è questo” Abbassò lo sguardo.
“Signor Howard parli liberamente. Ormai siamo qui, fra poco dovrò salire in camera…” I due si fermarono e Antoni Gaudì attese guardando l’americano.

La macchia sulla sua spalla era ormai asciugata. Seccata al leggero vento fresco che s’infilava fra le vie di Parigi. Due gamins si ricorrevano sul marciapiede. Un ragazzo svogliato passò spingendo il suo carretto di ortaggi. Passò una coppia di signori ben vestiti. Passò anche un fremito, come un balbettio fra le labbra di Howard Lovecraft.

“Quella casa è la stessa maestro Gaudì. La casa che ho immaginato io, in uno dei miei racconti pochi mesi prima di averla mai vista. Su quella rivista. Quel giorno dal barbiere”
Gaudì continuò a fissarlo, forse non certo di aver capito
“Mi scuso maestro. Io non ho altra sincerità che questa che le sto porgendo”
“Scusarsi per cosa? Lei mi dice che casa Milà è stata pensata anche da lei. Ma caro amico, progettare una casa non è cosa semplice…”Aggiunse per niente irritato.
“Progettarla no. Ma immaginarla sì. Per chi immagina come me…
Io non so cosa dirle ora. So che è difficile da credere e…La prego non si arrabbi, non la prenda come un’offesa. Non lo è.
Le camere curve, i tetti ondulati, i suoi comignoli, le sue scale. Io le ho immaginate a migliaia di chilometri di distanza, in un altro tempo, sotto altri stimoli.
Spero – chinò il capo leggermente – che non me ne faccia mai una colpa. Ma mi aiuti a capire maestro Gaudì”

I due uomini ripresero il passo e stettero in silenzio per qualche metro.

“Io le ho portato queste maestro. Sono le pagine del mio racconto che ho stralciato, prima di darlo agli editori. Prima di non credermi, le legga. Mi sono costate qualche soldo per la traduzione nella lingua spagnola…”
“Yo soy catalano” Sussurrò pensoso Gaudì, mentre prendeva in mano la cartella di pelle scura.
“Le ho tagliate per pudore. Nei suoi confronti. Nei miei confronti. Nel mio mondo di scrittori “onirici”, come li chiama lei, copiare non è perdonabile.
Così ho riscritto in parte certe descrizioni. L’ho fatto con sconcerto all’inizio. Con rabbia e cattiveria. Con un sottile, intimo, apprezzamento di me anche.
Il maestro si voltò un’altra volta verso il suo interlocutore, come per dire qualcosa. Poi riprese il passo.
“Le dicevo che io non ho altre prove oltre la mia parola. Spero solo che lei voglia leggermi in queste poche pagine”
“La traduzione… La traduzione quanto le è costata?”
“12 dollari, maestro…E non sono sicuro che rendano questa uguaglianza. Questa sovrapposizione… Io voglio chiamarla così”.

Lovecraft si disse ancora una volta quanto complicata fosse la sua missione.. Farsi credere abbastanza da farsi leggere. Sperare che il traduttore avesse fatto bene il suo lavoro.
Sì, l’interprete: aveva contattato Paco de Los Rios, un ex burocrate messicano in esilio volontario, direttamente nella sua casa del barrio a New York. Il profugo, travolto una quindicina di anni prima dalle orde di Pancho Villa era simpatico e loquace, aveva preso i suoi fogli e si era fatto dare 12 dollari.
Gli mancavano tre dita della mano destra. Nel quartiere raccontavano che gliele avesse fatte saltare direttamente “El Gèneral” Rodolfo Fierro durante un interrogatorio.
Una settimana dopo era tornato a riprendere la sua cartella di pelle scura. La stessa che ora consegnava nelle mani dell’architetto.
Los Rios lo aveva guardato sorridente e aveva sussurrato “Loco Ammericano”, mentre Howard già non c’era più, col naso infossato in quella bella calligrafia da contabile mancino.
Come se ci potesse capire qualcosa, in quel periodare arrotondato.
In quel fiorire di “esse” e di “cedille” ermetiche.

Davanti all’albergo, ai piedi della scalinata Antoni Gaudi, col plico di Howard sotto il braccio, si fermò, aggrottando la fronte.
“Bene signor Howard io mi fermo qui. La sua è stata una conoscenza…Una conoscenza sconcertante. Mi scusi ma non trovo aggettivi diversi. Più ospitali”.
“Master Gaudì, troverà i miei recapiti in calce all’ultima pagina. Non spero che mi scriva. Spero solo che mi legga”
“La leggerò fra poco – annuì per la prima volta bonario – ho un paio d’ore prima del convegno di stasera.
Lei è stato invadente e maleducato, signor Howard.
Nondimeno qualche volta è giusto dare un occasione alla forma. Un occasione per svincolarsi dai canoni. Siano anche quelli dei gentiluomini”.
“Domani mattina – si congedò Lovecraft – sarò in treno per Le Havre. Mi aspetta un lungo viaggio in nave per New York”
“Buon viaggio allora” sorrise l’architetto toccandosi la falda del cappello
“Grazie…Grazie per tutto” Sussurrò l’americano.

“Un dollaro per sapere cosa leggerai nelle prossime ore” pensò Howard mentre vide scomparire Gaudì fra le porte ottonate dell’hotel.
Era l’ultimo dollaro che gli era rimasto in tasca.