domenica 6 giugno 2010

L'occasione della forma 27^ - Casaciò al "Cercatoredimodi"


[omissis]
“Non brama di gloria o ambizioni insane, solo uomini. Dimenati come drappi al vento, alla ricerca di se stessi. Nelle discese, nelle risalite, nelle assenze. Ho perso un amico che non ho mai avuto davvero, un’anima gemella fors’anche o speculare; riconosciuta in quel tratto d’identica creatività, perso per sempre senza averne risposta. Vorrei chiedergli. Dovrò dirmi da solo”.
[omissis]

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martedì 13 aprile 2010

L'occasione della forma 26^ - "Pobre..Pobre..Pobre.."


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L’architetto giovane aveva preso delle decisioni risolutive, adottato soluzioni. Le stesse che le persone scelgono nei momenti di difficoltà, beandosi poi per il loro successo, senza indagare oltre sulla natura e sull’origine di queste. Forse perché la soddisfazione obnubila, o più semplicemente perché è così bello cullarsi nelle proprie “capacità superiori” da non assurgere ad altro sforzo di approfondimento, se non quello edonista del sentirsi più furbi, più attenti, più intelligenti degli altri.
In realtà è il caso, qualche volta, a fare della “scelta giusta” l’inevitabile strada da percorrere, a rendere la persona “geniale”, quando geniale proprio non è, anzi. Qualche volta l’ottusità richiede più inviti da parte del caso stesso, che finisce col mandarti uno, due, tre segnali diversi, in momenti differenti. Tutti a indicarti la strada. La stessa che si finisce con l’imboccare e che porta alla soluzione, alla decisione risolutiva.
Esteban Labruna da Cadaquès non era certo un genio e certamente non era un tipo particolarmente sveglio; era più semplicemente un giovane che il caso aveva voluto aiutare nel suo nobile compito, mandandogli vari segnali. Non tutti capiti, soprattutto nell’immediato...
[omissis]
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venerdì 5 marzo 2010

L'occasione della forma 25^ - Grand Guignol



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“…Se fossi io, lì. Di che natura sarebbero i miei lamenti? Di che intensità?”
A Esteban piacevano le donne con un seno prosperoso. E le gradiva più vecchie di lui, che aveva solo ventitré anni nel 1926. Le voleva sulla trentina, preferibilmente more, certamente profumate, all’occasione trascurate. Dai propri mariti. Non sapeva “perché”, non gli importava; sapeva “come”. E questo gli poteva bastare; gli bastava osservare un bel viso con quel velo di “vissuto”, di esperienza affastellata che si poggia sulle femmine che sanno cosa vogliono, che hanno già fatto la conoscenza con il rimorso, con il rimpianto. Che lo conoscono abbastanza da non lasciarsi sfuggire nessuna occasione, carnale o sentimentale che fosse degna di questo nome. Non conosceva la radice del proprio istinto erotico, da quale pulsione o appetito del proprio animo questo attingesse i propri desideri, dove poggiasse insomma. E nemmanco sapeva riconoscere cosa davvero di una femmina infiammasse il proprio desiderio, sapeva solo che se una bella donna adagiava lo sguardo su di lui e il suo portarsi era quello di una dama, o di una “signora”, in lui si accendeva quell’erotismo che gli istigava quella voglia di possedere, di brandire, di sottomettere perfino.
Chissà, forse la radice di questo portamento risiedeva nella necessità di issarsi, rendersi adeguato a donne che apparivano così distanti, distaccate, superiori; o forse più semplicemente il proprio istinto sessuale lo trainava fino alla certezza che una donna più vecchia era certamente più esperta, più consapevole, più tesa a farsi “preda”quindi. A lasciarsi andare, pur nell’austerità del suo atteggiarsi.
Nel suo viaggio a Parigi aveva incrociato lo sguardo con la moglie di un medico di Grenoble. Donna elegante e morigerata nell’abbigliarsi, con uno sguardo altero ma pungente, quando i suoi occhi castani s’indirizzavano su qualcuno. Mai a caso.
[omissis]

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